E’ domenica e si parte alla volta di Portland in Oregon.
Brunch con uova alla Benedict, nella versione al granchio, e, alle 13:30, aspetto pronta, bagaglio compreso che, per una donna, non è mai compatto, Annie Wallace nell’hall dell’albergo a Seattle.
Mi ritrovo dinanzi una giovane signora, piccola quanto gentile, e comincia così il viaggio lungo la parte settentrionale della West Coast, alla volta di uno degli Stati che produce tra i più noti vini a stelle e strisce.
Un susseguirsi di paesaggi e, dopo tre ore, arriviamo a Portland, fermata in hotel per un veloce check in ed è tempo di cena.
Annie mi porta nel winebar dell’unica cantina in Oregon che sia in città. E’ davvero un peccato che lungo il nostro tragitto non abbiamo attraversato la zona vinicola, perché mi sarebbe piaciuto, dopo alcune cantine in California, un po’ di anni fa con le Donne del Vino, conoscere più da vicino i vini dell’Oregon. Entriamo in cantina che dire piccola è un eufemismo e dove lavorano, ciascuno seguendo i suoi vini, 9 enologi. E’ una bionda signora molto appassionata che ci parla del suo lavoro e ci fa saggiare due dei suoi vini: un rosato prodotto da Pinot Noir, uno dei miei vini preferiti della serata, e, poi, un rosso sempre da uve di Pinot Noir che, confesso, mi piaceva al naso, mentre che al palato l’ho trovato poco espressivo.
Terminata la visita, lunga nella durata, ma ovviamente concentrata negli spazi, con Annie ci siamo accomodate a tavola per goderci una cena a base si salumi locali, paté, gustosissime insalate e una superba tagliata. Ancora tre vini di altri colleghi della signora che ci ha ricevuto, di cui francamente ho apprezzato un Pinot Blanc. E’ così si chiude la domenica e da domani si ricomincia.
Comincio a pensare che sono alla seconda settimana e la mia voglia di fotografare tutto e tutti sta un po’ scemando.
La mattinata comincia con un seminario formativo con alcuni dei venditori del distributore in Oregon ad illustrare, con passione e orgoglio per la mia terra, la grandezza della Campania enologica, fasti antichi come successi internazionali attuali.
Il light lunch, un po’ incredibile a credersi, è in un ristorante andino, non so se scelto in omaggio alle origini peruviane del fondatore del distributore.
Detto fra noi, apprezzo l’esperienza anche per la complessità di gusti che trovo nei piatti, ma non dirò da leccarsi i baffi visto che, in sette a tavola, eravamo cinque donne.
Mi è venuto da pensare che è proprio vero che questo mondo del vino, lungo tutta la filiera, è sempre di più in rosa.
Nonostante le atmosfere andine, dopo pranzo, non è tempo di siesta, anzi raccolte le nostre bottiglie di vino, Annie ed io ci rimettiamo in macchina, alla volta di Bend, altra cittadina dell’Oregon, la maggiore di un’area a destinazione turistica.
Non andiamo lì per fare una gita, alle cinque della sera, mi piace prendere in prestito questi versi, ci aspetta una degustazione con un bel gruppo di consumatori, un impegno, fortuna per noi, assai gradevole.
Sento che Annie è nervosa, c’è più traffico di quanto si aspettasse e teme che arriviamo in ritardo, ma io…mi godo, comunque, il viaggio.
Le foto scattate con il telefonino, mentre la macchina fila veloce, raccontano di un paesaggio che cambia in maniera strabiliante regalando forti emozioni.
Forse quasi come ideale contrappunto, ho deliberatamente voluto virarle verso il seppia, ma scommetto che, anche senza le tinte piene del colore, parleranno meglio delle mie parole di questi posti e delle tante suggestioni che danno.
Miracolo! Quando i boschi cedono il passo alle rocce, mentre procediamo puntando ad est, il traffico scema e, alla fine, arriviamo con 5 minuti d’anticipo sull’orario convenuto.
La degustazione è organizzata da un locale wine club, in prevalenza vedo che sono coppie, non proprio giovanissime, con la passione per il vino e per i viaggi.
Trascorro un bel pomeriggio inoltrato a spiegare quanto unica e meravigliosa sia la Campania del vino e quanto Terredora sia orgogliosa di essere, come i vini di questa terra, un mix di grande tradizione e modernità o meglio capacità di vivere il proprio tempo senza dimenticare le nostre origini, la nostra identità.
Il tempo corre veloce e la nostra degustazione si conclude schierando due cavalli di razza: l’ oramai apprezzato da tanta critica e non solo Taurasi Fatica Contadina Docg 2008, che nasce nelle tenute “storiche” di Lapio e Montemiletto, e uno strepitoso Taurasi Pago del Fusi Docg 2005 che ha la sua origine nella vigna di Pietradefusi: due diversi millesimi, due diversi areali per raccontare una delle grandi e variegate denominazioni italiane.
Non c’era davvero miglior modo per concludere questo viaggio scandito dalle emozioni di colori, profumi e sapori che ci hanno raccontato i vini della mia terra: l’Irpinia.
Mercoledì partenza più rilassata per Seattle.
Ancora nella mente i visi delle persone incontrate a Caffè Bingo e, mentre aspetto Chris ed Annie, decido per un caffè americano e per un muffin che per me è ai mirtilli.
Finalmente arrivano e Chris si mette al volante, anche se la macchina è di Annie, da vero gentleman d’altri tempi. Confesso gli manca solo il capello e i Rocher per chi ricorda la pubblicità della Ferrero, ma è una battuta che ho fatto anche con lui.
Si parte, io mi accomodo sul sedile posteriore perché così posso dormire e non preoccuparmi di fare educata conversazione per di più in una lingua, che per quanto abbia imparato a parlare meglio, non è certo la mia lingua madre.
Mi perdo la bella montagna innevata di cui avrei voluto una foto migliore dell’andata, ma pazienza…
Qualcuno direbbe il riposo mi fa bella, io dico il riposo mi rende un vino con acidità vivace e destinata, spero, ad un buon invecchiamento, come i grandi bianchi firmati Terredora.
Vorrei tanto assomigliare a quei grandi Fiano di Avellino, che io immagino come le donne dal fascino intramontabile, anzi che migliora con il tempo: quando si sogna, consentitemi di dire, devo sognare in grande.
Arrivati a Seattle, velocissimo pranzo ad Agrodolce, cucina di ispirazione siciliana come vi dicono le maschere appese al soffitto. È uno dei locali dove Terredora è di casa e comincia la degustazione con la giovane sommelier, la prima di una serie di appuntamenti pomeridiani.
In uno dei posti, mentre aspettiamo, capisco che Annie è nervosa, perché confida molto di poter cominciare a lavorare in un questo bar, che serve solo vini italiani e ostriche, scusate se è poco. Entrando resto affascinata dal soffitto piastrellato con maioliche bianche e blu, come se fosse una moderna grotta di Aladino. La degustazione è un successo, la manager mi riempie di complimenti che fanno sempre piacere, è il caso di dire good job e correre al nostro prossimo appuntamento.
È ora del seminario con lo staff di Bar del Corso.
Lì capisco, se mai avessi avuto dubbi, che Chris Zimmerman è la faccia del vino italiano a Seattle, ma di lui vi parlerò in seguito.
Quando la giornata finisce, mi porta a cena a La Tavolata, un ristorante della catena di un giovane chef americano: dal nome vi è chiaro che questo posto ha cucina di ispirazione tricolore, assolutamente ben eseguita.
Caso vuole che scegliamo entrambi un branzino grigliato e Chris ordina una bottiglia di Aglianico Campania.
Sarà così entusiasta dell’abbinamento che il giorno dopo diventa il mantra quando presentiamo questo vino.
La foto non rende giustizia al piatto e dunque ho preferito scartarla. Questi benedetti locali americani sono avvolti da luce soffuse, come se fosse sempre una cena a lume di candela, la qual cosa per tanti noi italiani, certo per me, è odiosa. Vorrei guardare nel piatto e mangiare anche con gli occhi.
Comunque ammetto, avevo ordinato il branzino grigliato per tenermi a dieta, ma è stato delizioso, verdure comprese, una delizia, vino compreso.
A domani…
Siamo a Ferragosto e stranamente, per un improvviso cambio di programma, in mattinata sono libera. Non mi alzo all’alba per andare a scoprire la città, decido di fare un salto solo al Pike Place Market che mi è sembrato un posto sì turistico, dunque non proprio il massimo per scoprire lo spirito vero di questa città, Seattle, che tutti dicono essere bella, ma è certo un luogo colorato per provare a fare delle foto.
Arrivo in centro sotto quella che pare essere la pioggia tipica del posto, leggera, ma continuata. Atteso che non avevo l’ombrello, decido di comprarmi un cappellino per la pioggia non senza aver fatto il pari e il dispari con dei cappellini di tela decisamente più carini. Alla fine, però, la vanità non l’ha vinta e compro un cappello per la pioggia, preferendo addirittura il nero a quello rosso. Ho oramai l’indispensabile per la missione mercato e, dunque, mi incammino. Le bancarelle dei fiori sono le più belle, un trionfo di girasoli, sembra quasi un paradosso visto che in cielo non brilla il sole. In ordine di tripudio di colori seguono e, forse ad essere sincera meriterebbero di più, i banchi della frutta e verdura. I peperoncini attirano la mia attenzione, tanti i colori. La confusione maggiore, come mi aspetto, la trovo nella zona del mercato del pesce: qui fanno bella mostra granchi, aragoste e tanto altro. Trovo il tempo per curiosare anche ai piani delle piccole botteghe, faccio due chiacchiere con un giovane pittore nel suo colorato studio ed è ora di dichiarare finita la mia mattinata per festeggiare Ferragosto. Chris mi aspetta, alle 13 dobbiamo essere a Georgetown per il seminario con gli staff delle pizzerie di Via dei Tribunali.
Terminata questa masterclass , ci dirigiamo alla nostra prossima meta, ma abbiamo un po’ di tempo e di strada c’è la Ballard Locks, la diga che regolamenta l’entrata e l’uscita delle barche dalla baia. Il livello dell’acqua del lago è notevolmente più alto dell’oceano e la diga è importante non solo per la navigazione, ma anche per la migrazione dei salmoni.
Scattate le foto andiamo all’appuntamento, il ristorante di un albergo 5 stelle, perfetto mix di atmosfera Liberty e dettagli di contemporaneità, che diventa minimalismo con tocchi di lusso, quasi dal sapore barocco nella lobby.
La degustazione va bene, bella l’idea del sommelier di organizzare una serata mettendo a confronto Taurasi, Barolo e Sagrantino.
Siamo nuovamente in macchina, ma è venerdì di mezz’estate e rimaniamo imbottigliati nel traffico e, dunque, costretti a cancellare gli ultimi appuntamenti.
Si va a cena, accetto l’idea del sushi e Chris sceglie quello che per lui è il miglior ristorante giapponese e, lì, ci mettiamo in fila per entrare, già c’è gente e non è ancora orario di apertura. Ottimi i ricci, il sushi con filetti di pesce azzurro, la tempura, ma anche dei pesci cotti, superlativo il guanciale di tonno pinna gialla, il tutto sempre innaffiato da un Fiano di Avellino 2012. Per finire decido di riassaggiare il sakè, ma continuo a trovarlo non di mio gusto, troppo alcol e zucchero.
Sabato mattina è tempo di recuperare la giornata calma di ieri.
Mattinata in un wine store e pomeriggio in un altro. Siamo in una piccolissima catena indipendente, ma molto apprezzata anche da riviste come Wine Spectator.
Parlo di vini campani, di Terredora e tanto altro.
Molti hanno ascendenti italiani o, semplicemente, adorano l’Italia e passare le vacanze nel nostro paese.
Se dovessi fare io una classifica, la destinazione italiana più gettonata resta la Costiera Amalfitana.
Evviva la Campania, mi viene da dire.
Prima di andar via foto con Daniel McCarthy, il proprietario di questi due negozi che mi hanno ospitato oggi; è un adorabile signore che ha passato e passa la vita a scegliere vini per una clientela che vede in lui più che una garanzia.
Non c’era modo migliore per chiudere queste due settimane fra la East e la West Coast e poi siamo ai saluti.
Con Chris un drink, scegliamo un Margarita entrambi e facciamo due chiacchiere al bar e, poi, io me ne vado a mangiare un calzone a Via dei Tribunali, c’è, infatti una pizzeria nei paraggi del mio albergo. Lì mi fanno sentire quasi una star, anche se scelgo di cenare al bar, bevendo un ottimo Aglianico Campania Terredora e scrivendo il mio diario di viaggio.
Domani, finalmente a casa…….
Agosto 2014
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