Un giovedì sera alle cinque della sera mi ritrovo con tre amiche a Milano per andare all’inaugurazione della mostra Fiume alla Scala, nel centenario della nascita del grande pittore e che resterà aperta fino al prossimo 20 aprile presso il Museo Teatrale.
Per chi non lo sapesse Salvatore Fiume fu pittore, scultore, architetto, scrittore e scenografo e la mostra raccoglie alcuni dei costumi per La Scala, dove debuttò nel 1952 disegnando le scene e i costumi per La Vita è breve. Non una collaborazione isolata, ne seguirono altre tra cui la Norma e il Nabucco di Verdi così come lavorò anche con altri grandi teatri lirici, il Convent Garden, l’Opera di Roma e il Teatro Massimo di Palermo, nella Sicilia dove nacque nel 1915.
Devo ringraziare per questa speciale serata la mia amica Anna, che fu amica anche del pittore, che ritrasse più volte la sua bellezza e le regalò dei quadri che ancora campeggiano nella sua camera da pranzo e dove cenare è un’esperienza sensoriale a tutto tondo.
Confesso che sono, però, emozionata per un motivo tutto personale.
Per me Fiume che, non ho mai conosciuto, è un ricordo di bambina. Un suo piccolo quadro, bozzetto o litografia, francamente non ricordo, dominava dalle pareti dello studio di mio zio Angelo, l’Avvocato conosciuto almeno di nome da chi ha attraversato tanta storia del mondo del vino. Siamo negli anni prima del terremoto dell’Irpinia, quando le cantine Mastroberardino erano nella vecchia casa di famiglia e i destini della nostra famiglia ancora per tutti legati al borgo di Atripalda e le diaspore familiari ancora erano lontane e di Terredora non esisteva ancora neanche la tenuta originaria.
Era mio padre Walter ad aver conosciuto il pittore in quella Milano degli Anni Settanta non tanto lontana dal buon ritiro del pittore a Canzo, in provincia di Como. Chi conosce Walter sa che, sin da giovanissimo, ha creduto che il successo per i vini d’Irpinia imponesse di prender le bottiglie di vino sotto braccio e andare nelle grandi città ed, in particolare, a Milano, già allora capitale economica del Bel Paese. Il Taurasi dovette piacere particolarmente al pittore che, per alcuni anni, da giovanissimo, quale art director di Olivetti, visse in un’altra grande terra di vini, il Piemonte. Per dirla in breve il “quadro” fu regalato perché divenisse un’etichetta speciale di Taurasi. In quell’immagine prendevano corpo saldi valori ancestrali, meglio della terra: era un asino carico di bellezza muliebre, che a me sembrava avere quella forza del colore che amo dei quadri di Gauguin ai tempi della Polinesia e i cui luoghi Fiume avrebbe visitato qualche anno prima di morire.
Mentre mi aggiro per le sale del Museo Teatrale La Scala presa ad ammirare l’arte di questo artista che un po’ sento familiare per via di quel quadro che chissà che fine a fatto, trovo tante piccole testimonianze che attirano la mia attenzione, parlano della storia del massimo teatro lirico italiano che è La Scala. Quella sera le sale del Museo raccolgono il fior fiore della cultura della cittadina meneghina e non solo. Fotografo, in particolare, i costumi che sembrano anche loro dei quadri anche se tridimensionali, pennellate nette su vesti che fanno da tele, ricche di colori decisi e personalità come è la pittura di Fiume.
Scorgo uno scricciolo che, può sembrare un paradosso dire, emerge con il suo fascino angelico fra la folla: è Carla Fracci avvolta in un’elegantissima cappa avorio con un bellissimo colbacco in testa. Sembra una zarina che potresti immaginare scivolare con leggerezza nel foyer del Bolshoi, ma che, invece, è il Cigno che ha ballato nei più prestigiosi teatri al mondo in compagnia con i più celebri ballerini, da Nureyev a Vassilev, la donna che ha fatto diventare il tutù e le punte un sogno popolare. Tante volte ha danzato nei tendoni, nelle chiese, nelle piazze, alternando gli impegni nei grandi teatri con le esibizioni nei posti più dimenticati e impensabili, impermeabile alle sgridate di Nureyev che voleva non si stancasse troppo.
Anna mi presenta perché ovviamente conosce la Fracci e il marito, il regista Beppe Menegatti che si occupa ancor oggi della regia di quasi tutte le creazioni interpretate dalla sua compagna, la ragazza cresciuta nella periferia milanese e che ha fatto tanta strada a passo di danza. Un mitico incontro per chiudere una straordinaria serata che continuerà con una cena fra amiche in versione Sex and the City, dove però la città è Milano, la capitale del mondo agroalimentare nell’anno dell’Expo che sta arrivando.