D. Mastroberardino

La mia recente incursione all’ inaugurazione di ‘Fiume Alla Scala’ ha aperto una sorta di vaso di Pandora: parlo delle esperienze, spesso anche causali che hanno il pregio di avvicinarti a mondi altrimenti lontani. Ero a New York e non ero la mia prima volta in assoluto nella Grande Mela, ma certamente lo era rispetto allo spartiacque di gennaio 2013 che ha determinato un bel po’ di cambiamenti nella mia vita. Dopo anni in ufficio, intervallati da qualche degustazione all’estero, il viaggio ha cominciato a caratterizzare tanto del mio lavoro per far conoscere Terredora e i suoi vini.

All’epoca ero alla mia seconda “prova” all’estero. La prima si era conclusa con me che ringraziavo chi aveva scelto le persone che mi avrebbero affiancata, sapendo che il mio inglese non era proprio fluente. Tutte conoscevano, infatti, l’italiano o almeno lo spagnolo, che io, pur non parlandolo, da italiana vagamente capisco. Non era trascorso neanche un mese ed eccomi a New York e con un inglese un po’ più fluido. Lavorare nella Grande Mela è davvero bello perché, di appuntamento in appuntamento, ti godi, se ti guardi in giro con lo stupore negli occhi, la città e la sua gente variegata e variopinta; ogni scorcio non può che emozionare una provinciale come me!

Quel giorno, mentre salivo e scendevo dalla metropolitana, il mezzo migliore per rispettare la nostra agenda di lavoro, mi arriva una telefonata, forse neanche sul mio cellulare. Chi mi conosce sa, infatti, che il telefonino è spesso nascosto in quel mondo segreto che è la borsa di una donna, ma dove, quando vai di fretta, fatichi a trovare ciò che cerchi. Tornando alla chiamata, Giovanni mi spiazza con una domanda: “ti piace l’opera?” ed io: “perché?”, rispondere si o no mi sembrava del tutto inappropriato. A quel punto mi spiega: “Ho due biglietti omaggio per andare a vedere stasera l’Otello al Metropolitan. Ti va di accompagnarmi? “.

In quella frazione di secondo ricordo che in un teatro lirico, sono entrata una sola volta in vita mia per una matinè. Erano gli anni della scuola media ed era il San Carlo di Napoli.

Andammo per Madame Butterfly e di quel melodramma mi rimasto solo il ricordo del canto disperato di lei, inginocchiata, prima di dire addio al mondo. Per il resto ho sempre pensato che è un bell’impegno seguire un’opera, carpire le parole delle cantanti in particolare.

Fatte queste premesse sui miei “pregiudizi” in fatto di lirica, decido, comunque, di accettare l’invito. Penso, infatti, che non è che mi capiti tutti i giorni di poter andare in uno dei templi della musica più spettacolari al mondo. Sarà pur sempre un’esperienza, anche se dovessi annoiarmi, penso fra me e me.

La giornata di lavoro continua con lena e passione, fino a che, alle sei della sera, incontro Giovanni, “A Forcella”, una delle pizzerie italiane più famose in città e dove Terredora fa la sua bella figura: trovo, infatti, la Falanghina al bicchiere in compagnia di altre nostre etichette nella lista dei vini. Dopo una pizza con i fiocchi, è ora di riattraversare la città per raggiungere il Metropolitan Opera House, al Lincoln Center, nell’Upper West Side.

Una corsa in metro che non ti aspetti, Giovanni incontra un tenore italiano che vive qui da anni e che, come noi, sta andando a teatro. Si conoscono perché, come avevo già scoperto,il mio accompagnatore è un appassionato di lirica e va spesso a teatro con la moglie o con il figlio. Mai diresti che è tipo da opera se ti fermi al suo accento da romanaccio e al suo voler apparire ragazzo di borgata.

Finalmente siamo in platea, bella poltrona in una delle prime file, e già penso che venirequi sia stata un’ottima idea.  Il sipario è impressionante per l’altezza, immenso, ma negli Stati Uniti tutto è grande… Mi guardo intorno e noto il sottile schermo installato sul retro delle poltrone per i sottotitoli in quattro differenti lingue: inglese, spagnolo, italiano, la quarta non ricordo se fosse il tedesco o il francese.

Si comincia, ed anche se è un po’ faticoso andar dietro a sottotitoli e spettacolo, è vero anche che questo libretto d’opera digitale è il massimo per aiutare una come me a godere appieno della magia del momento. Seguire la trama non è indispensabile, ma aiuta, ti fa sentire che quell’opera è stata scritta anche per te.

Confesso, però, che la storia non è la mia preferita. In fin dei conti Otello è uno che si fa influenzare dagli altri a causa del demone della gelosia che lo possiede, e, dunque, non si accorge dell’amore di Desdemona così come della malafede di chi fa dell’intrigo del potere la cifra della sua vita e dei rapporti con gli altri.

Detto questo, è stato un grande spettacolo, una bella serata che spero di poter ripetere perché l’opera così alla portata di tutti è una piacevolissima scoperta.